In questo caldo ed opprimente Luglio, sono pronto a scatenare una ventata di freschezza con questo nuovo gioiellino dei September Damage, che nonostante sia uscito il 17 Marzo, ho avuto tempo di metterci mano (orecchio) solo in questi giorni.
I September Damage sono una band di Imola (Bo) dedita ad un tecnico e melodico death-metal. Questi quattro ragazzi rispondono ai nomi di :
Devid Rugiero – chitarra/ voce ( growl e scream)
Gianluca Andreacchi – chitarra/voce (clean)
Francesco Caliri – batteria/cori
Franco Fabbri – basso
L’EP in recensione è il terzo lavoro ufficiale della band, che arriva dopo alcuni cambi di line-up, e dopo due full-length, il primo del 2012 dal titolo “IV-IX-MCMLXXVIII”, ed il secondo nel 2016 dal titolo “Timebound”.
“Perception of Reality” consta di quattro brani per una durata di circa 16 minuti ed inizia con “Invisible Soul”: l’intro del pezzo si può considerare urban/clautrofobico, quando però attaccano chitarra, batteria e voce tutto viene spazzato via, il cantante riesce a spaziare con disinvoltura tra cantato scream e growl, mentre gli inserti di clean rendono la canzone dura ma al contempo melodica e godibile, interessanti sono gli orpelli di tastiera che qua e là, come zampilli rendono il brano un po’ meno caustico, ma comunque d’impatto. Ottimo il lavoro del batterista che con potenza e prepotenza detta i ritmi, ora passiamo a “Tools or Victims”, di questa seconda traccia è possibile vedere il crudissimo video presente in rete. La chitarra parte con un riff in sordina poi la batteria imperiosa si erge sul tutto, il basso compatta il sound. Inizialmente il brano è più sugli schemi di un buon doom metal, poi i ritmi impennano è ci ritroviamo su un’ articolata composizione death-metal che non disdegna la melodia ma spezza le ossa. Anche qui il cantante esegue in modo esemplare il suo lavoro dando ancora più enfasi ad un pezzo davvero ben congegnato. Sui tre minuti e quaranta l’ottimo assolo di chitarra che porta il brano al termine. “Toxic Instrumental Vibes” invece, come dice il titolo, è un pezzo totalmente strumentale, solo tastiere in un’inquietante minuto che pare più un intro al brano successivo, “Memories Don’t Die”. La chitarra inizia con un arpeggio poi quasi subito parte la batteria ed i ritmi si alzano in modo esponenziale creando un muro sonoro impressionate, il riff di chitarra è martellante fino quasi ai due minuti e dopo una breve pausa tutto riparte a piè sospinto tra virtuosismi di chitarra davvero eccelsi e colpi di batteria devastante si arriva al termine. Non si può che essere soddisfatti di ciò che si sta sentendo.
Considerazioni Finali: avevo detto in precedenza che si trattava di un gioiellino, lo confermo, peccato che sia troppo piccolo, troppo corto, dopo 16 minuti è tutto finito.
L’uso di talenti così cristallini per un quarto d’ora di musica non può che non creare delle difficoltà all’ascoltatore esigente. Sicuramente sarà più difficile ideare un intero album che abbia le medesime caratteristiche senza lasciarsi immischiare in cose già sentite, ma credo proprio che questi ragazzi di Imola possano davvero creare qualcosa di fresco e nuovo, ne hanno tutte le capacità sia compositive che tecniche.
Recensore: Igor Gazza